Lo chiamerò Luca, 5 anni, affetto da neuroblastoma e tanta tristezza nascosta nella rabbia e nel silenzio. In questi casi, i telefonini e i videogiochi dominano in ospedale. Accanto a lui, un altro suo coetaneo; oggi non si parlano, ma giocano insieme, ognuno con il proprio telefono.

Ho provato molte volte in passato a trovare un punto di contatto con Luca, uno sguardo, una strada da seguire. Ho fatto alcune proposte, ma non mi ha mai lasciata entrare nel suo spazio solitario. Con lui, c’è la giovane mamma, stanca, che non ha il coraggio di dire di no al suo bambino, che soffre come lei, in un ospedale dove il tempo è sospeso.

Luca è solo, arrabbiato e chiuso nel videogioco, lottando contro le sue paure. Oggi, però, le cose sono andate diversamente. Sono entrata e, dopo aver provato a respingermi in tutti i modi, scocciato dalla mia presenza, ho tentato di fargli conoscere Brandy, la mia marionetta, come ultimo tentativo di comunicare con lui.

Brandy è il mio aiutante, un bradipo che sembra vero, anzi, è vero perché io ci credo, e lui anche.

Il mio bradipo ha molta più esperienza di me in questi casi e sa come trattare i bambini, il dolore e la paura.

Non l’ho mostrato subito a Luca, ma al suo vicino, che ha sorriso e interagito, anche se senza molto coinvolgimento.

Luca si è incuriosito, lo ha guardato con occhi dolci; ho subito approfittato per avvicinarmi, e si sono avvicinati a vicenda. Era interessato e intenerito, sembrava un altro bambino.

Dopo i primi secondi, mi sono abbassata e ho rischiato. Brandy è stato più invadente di me, dandogli dei baci sull’orecchio e arrampicandosi sulla sua testa pelata, per poi nascondersi sotto la sua ascella. Luca era completamente un altro bambino: piccolo, dolce e calmo; baciava e accarezzava Brandy come se fosse il suo piccolo da accudire con cura. Mi ha stupita e ho continuato in questo gioco di ascolto e scambio di tenerezze. La stanza è diventata molto piccola; c’era spazio solo per Luca e Brandy in questa relazione di coccole. Io mi lasciavo guidare, senza parole, se non qualche “grrrrr” o “yummmm!!!”.

Ho visto Luca aprirsi e tornare il piccolino che è, senza timore. Ha abbassato la guardia e ha potuto esternare le sue emozioni nascoste sotto il costume da guerriero. È stato davvero bello; la mamma è rimasta, come me, sorpresa e rapita da quel momento di piacevole scambio d’amore tra Luca e Brandy.

Sono momenti per me, come Dottoressa Bonsai, di grande valore e insegnamento: saper aspettare il momento del bambino e il suo spazio di dolore nella malattia. Solo così, dopo diverse volte in cui ho accettato i rifiuti di Luca, ho aperto una linea di comunicazione e scambio. Attraverso Brandy, ho potuto creare un sentiero per arrivare a Luca, un sentiero da percorrere insieme in futuro.